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pelle fulva puzzolente; e la farmacia, donde usciva un pestilenziale odore di droghe stantìe, non ancora era onorata dalla presenza del sindaco e del suo partito.

Dove dunque andare?

Stefano sentiva il cuore stretto al solo pensiero d’attraversare in quell’ora il paese; e restava a casa, e.... suonava.

S’egli fosse stato un artista, o almeno un compositore, o almeno uno studioso, avrebbe trovato qualche sollievo nella musica; ma egli non era neppure un dilettante, e suonando solo per divagarsi metteva nel suo svago un riflesso delle sue passioni, tanto più violente e fugaci quanto più superficiali e improvvise.

Dopo due settimane in cui il lied del Tannhäuser, la vaporosa canzone alle stelle, il fresco e limpido canto del pastore inneggiante alla primavera, ebbero tratto tutti i gridi sonori e fini, e le gravi e melodiose voci dell’alto e del basso registro, pienando la casa e l’orto delle aspirazioni, dei desideri, delle rapide elevazioni e delle profonde tristezze di chi suonava, si annoiò anche dell’affascinante spartito, e lo abbandonò.

Per fortuna era di settembre, e, spentosi un po’ di caldo e riaperta la caccia, potè riprendere il suo forte svago favorito: ogni sera, e spesso anche la mattina per tempissimo, Serafina sellava il cavallo, legandogli in groppa

Deledda, La giustizia. 12