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Tremendo quesito, acuito e avvalorato da interminabili sbadigli. Scendendo nel salotto da pranzo trovava Maria a lavorar accanto all’aperta finestra, e don Piane a giocarellar con Speranza, strisciando il bastone sul pavimento e facendo disperatamente correr in circolo la gattina.
— Oh! — diceva Maria guardando suo marito. E si levava, e serviva il bel caffè bollente, densamente vermiglio come vino, versando prima nella chicchera del suocero, poi in quella di Stefano, e in ultimo nella sua.
Sotto l’impressione benefica della squisita bevanda, per un momento Stefano ritrovava un po’ di buon umore; di nuovo le cose gli sembravano belle e facili, e si degnava talvolta di trovar grazioso il giochetto di Speranza che, saltando sulla spalla di don Piane, allungava la zampetta per afferrare il cucchiarino che il vecchietto si portava alle labbra.
Ma naturalmente egli non poteva indugiarsi molto nel salotto da pranzo: che doveva farci laggiù?
E tranne le rare volte in cui ordinava a Serafina di sellargli il cavallo (uscendo poco in campagna, per tema delle febbri, durante i grandi calori), doveva risalir sopra, a far toeletta, a decidersi sul modo di passar la sera.
Metteva la camicia di finissima seta a fondo paglierino, sparso di carnicine roselline sfo-