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da orti, ombreggiate da noci e da radi pioppi, le cui cime chiare rabbrividivano sull’azzurro denso dell’aria come ciuffi di piume grigie su esili canne di platino.
Sempre magnifica era parsa a Stefano la posizione della sua casa, che godeva tutti i vantaggi della campagna e del villaggio, ben soleggiata e poco esposta alle curiosità dei vicini: ora invece lo infastidiva quella serena solitudine campestre, quell’abbondanza di luce, d’aria e di silenzio che lo circondava. Del resto meschina, noiosa e ridicola gli pareva la vita del natìo paese: ogni cosa, che prima lo interessava, ora gli causava strane sensazioni di compassione e d’indifferenza; i suoi compaesani, uomini ruvidi e bronzini, donnine baroccamente adorne di lunghe cuffie e di corte sottane orlate di panno verde, gli sembravano presso a poco tante povere bestiuole, talvolta innocue, tal’altra velenose. Ma neppur lontano, nelle grandi città, nell’alta vita dei felici e dei consapevoli, dei gentiluomini profumati e delle dame miniate e vestite di seta, neppure là scorgeva nulla di buono, di serio o di piacevole.
Una suprema indifferenza poi lo assaliva se pensava ai suoi affari urgenti ed incalzanti, ai suoi cavalli, ai servi, ai cani, a quanto lo circondava. Eppure in certe dolci sere di quel melanconico autunno, costretto a starsene rin-