Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/179


— 171 —

fonde e gradi del basso registro gridavano cupamente tutta la sonora domanda del suo cuore:

— Che devo far io?

— Lavorare, amare, redimerti! — rispondeva tosto la canora voce acuta dell’alto registro.

Era forse la voce di Elisabetta che spingeva l’amante al mistico pellegrinaggio?

Ma dopo suonato lungamente, Stefano si sentiva ancor più triste e depresso del solito: nessuna voce lo spingeva in alcuna via, fosse pur pericolosa ed aspra, ma che lo traesse dal morto stagno in cui viveva.

Maria non sapeva dargli che scialbe carezze che non potevano arrivargli all’anima; Maria, nonchè spingerlo fuor dello stagno, ve lo affondava di più con la sua semplice ignoranza.

Di mattina, poco male, egli occupava il tempo ricevendo molte persone per il disbrigo dei suoi affari, e rispondeva a qualche lettera, aspettando l’ora del pranzo.

Come tutti i possidenti sardi, gli Arca pranzavano a mezzogiorno, il che naturalmente portava l’ora della siesta. I padroni andavano a letto: le domestiche si coricavano in cucina, sul nudo pavimento, e dormivano bocca a terra come pecore meriggianti; i cani si accucciavano negli angoli ombrosi del cortile, raggomitolandosi col muso fra le zampe; i gatti si sdraiavano sibariticamente fra le erbe dell’orto, a