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fila di puledri grigi dalla sella di velluto violetto, montati da adolescenti che avevano gli occhi e le lunghe ciglia neri. Sui vasi dell’altare crescevano folti roveti selvatici coperti di rose sbiadite, e le colonnine di marmo grigio sorgevano come fusti di pioppi solitari sopra un fondo di cielo lunare; la Madonnina d’alabastro cangiavasi nella Vergine di legno smaltato, dal manto di broccato verde, che dal silenzio della chiesetta campestre aveva vigilato sul triste idillio.

Gli adolescenti caracollanti sui puledri dalla sella violetta sfilavano sempre e svanivano dietro l’altare, fra i roseti fioriti, ove si trasformavano in alti, eleganti paesani dal fucile rilucente.

La Madonnina guardava, con infinita pietà entro i lunghi occhi socchiusi, e dall’alto scendeva un ineffabile splendore d’aurora.

Tutto il latte dolce, tutta l’ambrosia della divina pietà del suo cuore, rosso come brage eppur candido come latte appena munto, inondava il manto, la tunica, i piedi della Madonna; era una marea di pietà, di misericordia, di sovrana dolcezza, che invadeva le rose, l’altare, l’aria, la vôlta e il pavimento dell’oratorio, penetrando fino al cuore di Silvestra. Era il lontano plenilunio a cui Filippo aveva gettato il suo grido:

— Se Dio è giusto ci rivedremo!