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varsi tanto vicini: egli appariva più alto e più robusto nel suo costume; ella, volgendo il viso al sole morente, era tutta rosea, e una dolce fiamma pensosa le brillava negli occhi, che al chiarore del tramonto sembravano di madreperla.

— Ti ringrazio. Ma come sei venuta? — domandò egli, ansando leggermente. E prima le strinse le mani, poi la prese fra le braccia senza baciarla: l’elce guardava, e le sue cime sempre più rosee ora tremavano, come ondulate da un sorriso appassionato.

Silvestra fu la prima a sciogliersi dal doloroso amplesso: Filippo la fece sedere sul fieno, e stettero così, nascosti come due uccellini fra l’erba fiorita.

— Come sei potuta venire?

— Come? Come meglio ho potuto, giacchè l’hai voluto assolutamente. Ma forse ho fatto male.

Ella parlava risentita e paurosa; ma in quel momento egli non ricordava più alcun pericolo; avrebbero potuto venire, circondarlo, legarlo come un agnello, ed egli non avrebbe inteso nulla, non si sarebbe neppur mosso.

— Come, male? Perchè male? — domandò sorridendo. — Come hai fatto?

— Come? Quando ho ricevuto la tua lettera, che diceva di volermi assolutamente rivedere un’ultima volta qui, dove ci siamo conosciuti la