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il freddo, l’umido dell’oratorio, i digiuni, la sottile febbre che la estenuava, accrebbero la sua mortale tristezza. Il cuore le nuotava in uno stagno d’ignote, indefinite amarezze, e l’intima ribellione cresceva di giorno in giorno, d’ora in ora.

Ai primi di giugno la pioggia cessò, e il cielo apparve alto, altissimo, d’una purezza e d’una turchina profondità infinita; e, subito dopo, il sole cominciò il suo impero, dilagando per l’aria con ardori sfibranti. Ora, non più la fragranza delle erbe e dei ranuncoli, ma il profumo sonnolento dei papaveri campestri, e il largo, caldo e rorido olezzo delle rose in piena fioritura arrivavano con soffi penetranti e avvolgenti.

Fin dal primo giorno di sole, quando l’aria profondamente tiepida le portò la fragranza delle rose, Silvestra provò un fatale smarrimento, e un’onda d’indimenticabili ricordi la travolse.

Poi, quando al profumo delle rose che dovevano, al di là dei muri gialli, sfogliarsi, pallide nell’ebbrezza del sole, e spargersi pei viali come larghe gocce di sangue sbiadito, s’unì sottilissimo, ma penetrante, l’odore del fieno, l’ultimo e più struggente dei ricordi, che a quell’odore di fieno si riallacciava potentemente, si impose quale ossessione al pensiero ed al cuore, già ribelli e già vinti.