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Allora ritornò nitido anche il ricordo di quanto i venti dicevano nelle notti invernali, e il cuore ripetè a se stesso: — No, non è possibile dimenticare!
Ma dopo questo grido, ella balzò in piedi, spaventata di ciò che aveva osato ricordare e desiderare; e continuando a piangere, ma di pentimento e d’orrore contro se stessa, rientrò nell’oratorio, s’inginocchiò, si prostrò sul pavimento freddo, battendosi la fronte e le labbra, piangendo in alto con gemiti acuti e selvaggi, percuotendosi il petto con le mani e poi stringendo i pugni fino a sentir lo strazio delle unghie conficcate nelle palme.
Ella si pentiva, ella chiedeva perdono, aiuto e misericordia; ma sentiva la sua speranza e la sua fede scosse violentemente, e aveva paura di se stessa.
Andò a letto sfinita, con le palpebre ardenti, e vegliò a lungo; l’indomani mattina mise sulla ruota un biglietto per lo zio prete, pregandolo d’anticipare la sua visita spirituale, e passò tutto il giorno in orazioni, esami e lagrime sincere di pentimento.
Fuori, le diafane nuvole della sera prima s’erano addensate; spirava un venticello frizzante, e quel cielo d’un lilla carico e smorto, quel freddo improvviso ridonavano all’oratorio il gelato riflesso invernale.
Silvestra sentiva freddo e si meravigliava