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vano timidi gorgheggi di cingallegre, lontane grida di bimbi in cerca di nidi; nella notte i venti non parlavano più, ma nell’indicibile silenzio dei cieli cristallini le stelle doppie oscillavano con rapidi splendori d’acqua marina e viola iridata, di giallo-oro e di perla turchina; la luna calava in nitide spiagge d’argento fuso, e le cose dormienti, ma rinate alla vita, parlavano in sogno e la loro voce silenziosa si imponeva più dei sonori gridi del vento.

Silvestra non dormiva più tanto profondamente; i silenzi delle notti di marzo le narravano cose sottili e arcane, filtrandosi nel sangue come spille di cristallo; l’aurora nitidamente violacea batteva sui vetri, svegliandola, con improvvisi riflessi di nuova luce; e lungo le tiepide giornate, quando i soffusi e lattei ondeggiamenti delle prime nuvole primaverili passando sul cielo come immense gregge attraverso cerulee pianure, proiettavano la dolcezza della stagione rinascente, ella provava un’inquietudine, un non confessato desiderio d’aria e di vita. E indistinte le tornavano alla mente le memorie dei paterni ovili, le brevi residenze primaverili nelle case coloniche delle tancas dagli alti pascoli aromatici, le feste pastorali, le selvagge canzoni antiche dei pastori, che, tosando le pecore legate e stese sui paleggi fioriti, inneggiavano al verde ’eranu1 sardo.

  1. Eranu o Veranu, primavera.