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tappezzeria, davano all’ambiente una fisionomia calma e severa, di salotto e di chiesa.

Occupava tutta la parete di fondo un altarino di marmo sormontato da una nicchia, entro cui si ergeva, immobile e lilialmente diafana, una Madonnina d’alabastro, artistico lavoro del secolo XVII, memoria di famiglia, dalla quale don Piane si era separato piangendo. E sull’elegante vôlta della nicchia sorretta da due colonnine toscane di marmo grigio, la cui oleosa opacità faceva meglio risaltare la trasparenza alabastrina della statuetta, posava un piccolo sarcofago di marmo bianco che pareva un’urna di gesso, e che sosteneva un fiammeggiante cuore di pietra rossa. Giacchè Silvestra si era dedicata al Sacro Cuor di Maria.

Adornavano l’altare due candelabri d’argento con mazzi di pallide rose carnicine; tristi rose di seta diafana, aperte, languide, dai petali rivoltati, che parevano pronti a cadere; e vi era anche una lampada d’argento e di cristallo granato, entro cui la fiammella sempre accesa sembrava un tremolante rubino. Sotto la grave luce dell’alta finestruola semicircolare, dai vetri smerigliati, l’inginocchiatoio di noce, lucido e duro, in una continua immobilità di preghiera e di sogno, sembrava una persona eternamente inginocchiata e resa rigida da profonde suggestioni ascetiche.