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cina rossa praticata a fianco della ruota, che si doveva aprire solo in tali urgenti casi e per lasciar passare il vecchio zio prete, confessore di Silvestra.
Per ottenere da Roma il privilegio di questa strana monacazione, assai comune del resto in certi paesi sardi, gli Arca avevano faticato e speso assai, mettendo in moto molte persone influenti nelle alte sfere religiose.
Silvestra aveva i capelli rasi e indossava un costume monacale, non privo però d’una certa eleganza; e passava le giornate pregando e lavorando per i poveri.
Alle finestre delle quattro scialbe cellette di quel chiostro in miniatura non mancavano le inferriate verso il melanconico cortiletto. Silvestra viveva per lo più al pian terreno, fra la cameretta ove dormiva e lavorava, — arredata di un semplice lettuccio, d’un tavolino, di due sedie e un paniere d’asfodelo; col camino di pietra e il pavimento di mattoni rossi, su cui per qualche ora del mattino l’inferriata gettava gli scacchi del sole, — e la attigua stanzetta accomodata ad uso di cappella.
La vôlta e le pareti di questo strano oratorio erano tinte di granato cupo, vellutato, con ramificazioni di sottilissime palme d’oro che, assumendo l’illusione d’antica e preziosa