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cresta del muro; e i piccoli occhi rotondi guardavano curiosamente in fondo, le testoline piumate si dondolavano irrequiete; le sottili code s’aprivano a ventaglio, i grigi petti fremevano con metallici splendori; ma le rondini non cantavano, e volavano via con stridi acuti e vibranti che parevano di disapprovazione, proiettando le loro rapide ombre sul selciato del cortile.
Solo i corvi, il cui triangolo nero navigava lentamente nell’aria alta e fumigante, nelle tristi giornate autunnali, guardavano in fondo al piccolo cortile, mentre il loro crà crà prolungato e stridente si fondeva con la grigia e melanconica pace dei silenziosi vapori di novembre.
Nella voce dei corvi era tutta la tristezza di lontane pianure solitarie, e Silvestra, ascoltandola, si credeva rinchiusa in un chiostro perduto nelle vaste e desolate solitudini dell’altipiano sovrastante al paese.
Due volte al giorno la giovane e strana monaca ritirava dalla ruota, comunicante con uno stanzino attiguo al salotto da pranzo degli Arca, la colazione, il desinare, il caffè, la biancheria, e infine tutto ciò che abbisognava. Nessun’altra comunicazione ella aveva con la famiglia; solo in caso estremo di malattia avrebbe suonato un campanello che dava sullo stanzino, e i suoi sarebbero entrati per una porti-