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nella sua verde trasparenza le striscie di sole che attraversavano i salici.
Maria aveva una forte simpatia per quel dolce angolo dell’orto, che ogni mattina veniva a salutare: nei brividi dell’acqua e nel gorgheggio della cingallegra trovava un’eco dei versi del morto, una struggente dolcezza di memorie unita a una indistinta, triste e delicata gioia di vivere, di sperare, di amare ancora.
Ella avea ventisei anni e aveva tanto e sempre sofferto: l’ultimo suo grande e rassegnato dolore era il rimpianto dei pochi giorni felici goduti come in sogno; ma sempre, nei silenzi melanconici della vecchia casa, al ritmico rumore della spola, o davanti al corso delle foglie naviganti sul ruscello, un misterioso sentimento di speranza l’aveva sorretta, parlandole sommessamente dal fondo dell’anima. Era forse la voce del Signore che parlava dalle pagine della Imitazione di Cristo, promettendo una lontana felicità oltre terrena, o la voce della giovinezza che presentiva e vaticinava un lieto e vicino evento, l’amore di un uomo giovane e forte?
Ora, in quel luminoso mattino d’autunno, dopo una notte di proponimenti rigidi, gelati, quasi sdegnosi, ella sollevò il viso al sole, alla luce, alla rugiada stillante dai salici, e sentì nell’alito puro e inebbriante dell’aria tutta la nobile e refrigerante passione di Stefano Arca: questo, senza dubbio, era l’evento annunziatole