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lo attirava e non aveva forma nè sostanza eppure viveva d’una vita intensa; come una medusa in fondo al mare.

— Ecco l’acqua, — disse Ola sottovoce, ansante anche lei per quell’improvviso sonno di Ornella. — Ma è morta? Ornella, svegliati; — gridò poi, pizzicandola al ginocchio.

Più che per gli spruzzi d’acqua sul viso e sul seno, Ornella parve svegliarsi a quel pizzico. Si portò la mano al ginocchio, si sollevò e riaprì gli occhi. E non pareva disposta a dare spiegazioni del suo malessere finchè il maestro stesso non la incoraggiò:

— Su! È la primavera.

— È la primavera, — ripetè lei, pensierosa.

E tutto pareva finito quando ella si alzò di scatto dalla sedia, poi vi ricadde come se le gambe non la sostenessero, si piegò con la faccia fino al grembo e morsicandosi le vesti scoppiò in pianto. Ola le si buttò addosso, d’un tratto pallida e spaventata, e pianse forte anche lei.


Queste cose facevano male al maestro: davanti a quello scoppio di dolore senza ragione, folle tanto nella ragazza come nella bambina, egli si sentiva come davanti a un fenomeno inspiegabile che pure deve avere le sue radici naturali.