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un pendaglio d’orecchino, il piccolo pesce d’esca, morto e triste.


Il pescatore però non si sgomenta, non partecipa all’ansia comune; come non usa far parte della sua pesca a nessuno, così non lascia vedere le sue delusioni e le sue sempre rinnovate speranze.

Con lentezza immerge di nuovo l’esca nella profondità molle dell’acqua, di nuovo si piega e aspetta.

— Ola, andiamo, — dice il nonno, stringendo e scuotendo la mano della bambina; ma lei ha le sue buone ragioni per non muoversi, e lo prega di aspettare.

Infatti il pescatore tira su la canna, con sveltezza sorprendente, e ancora prima che gli astanti si rendano conto di quello che succede, un bel pesce quasi azzurro guizza disperatamente dentro il cestino dove s’è volta la lenza.

E adesso l’uomo respinge i ragazzi che strillano di gioia come se il pesce appartenga a loro, e sorride fra ironico e compiacente.

— Ride bene chi ride l’ultimo.

Però cessa di sorridere quando il nonno, dopo essersi piegato ad ascoltare all’orecchio un consiglio di Ola, gli domanda se il pesce è da vendere.

È da vendere, sì; poichè per portarli a casa