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Andata finalmente via la levatrice, egli salì sul soppalco, per vedere se il chiasso aveva disturbato Ornella: e lei stava infatti ad occhi aperti, poichè alla notte tentava di non addormentarsi per paura di soffocare il bambino.
— Abbiamo festeggiato la sua nascita, — mormorò il maestro, piegandosi sul giaciglio che odorava di stoppia e di latte come una mangiatoia. — Quei bonaccioni di contadini hanno portato dei regali.
— Perchè non fa veder loro il bambino? — domandò lei, con una voce assonnata e sognante che a lui ricordò quella di Marga. — È tanto bello: già sorride. È tanto grosso e bello, — ripetè con accento vanitoso.
— Domani.
— Perchè non adesso? Di notte è ancora più bello, — insistè lei, palpando il bambino tutto caldo e umido di latte.
Il maestro è ancora in uno stato di lieve ebbrezza che gli fa parere tutto facile e bello: si affaccia quindi all’apertura del soppalco e chiama i contadini.
— Ornella vuol farvi vedere il bambino.
E, prima, di slancio, Gesuino, e poi più riflessivo Proto, quei due salgono la scaletta, s’avvicinano e guardano.
— Bello, proprio bello.