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Parlavano piano, e lei raccontava le storie di tutte le famiglie del paese, con particolari crudi ed espressioni che non avevano nulla da invidiare a quelle dei bassi tempi di Ornella. Se si fosse stati al buio la si sarebbe scambiata per un maschiaccio della peggior specie. Eppure il maestro, e lo stesso Gesuino che come Frate Zappata pretendeva dagli altri quello che non usava dar lui, la compativano, non solo, ma la ascoltavano con perverso piacere.

Proto invece s’irritava: e per mettere fine alle malignità di lei volle raccontare una delle sue solite storielle.

— Dunque, in un paesetto sperduto, c’era un prevosto che si annoiava a star solo. Allora una sera manda il servo col biroccio a pregare il dottore che venga subito perchè lui si sente male. Arriva il dottore, col quale del resto erano amiconi. «Ebbene, come va? Che c’è?» «C’è, — dice il prevosto — che mi sento morire. Ho un gran dolore qui alla cima della testa, e poi qui alla punta del gomito e poi qui alla punta del piede. Poi c’è che alla notte quando spengo il lume non ci vedo più.» «Ah, figlio di un cane» grida il dottore. E poi rimase a cena dal prevosto e a mezza notte stavano ancora a fare la partita e a bere.

Tutti risero, sebbene al maestro sembrasse di aver altre volte sentito quella storia.