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lei. E andava ricordandosi il modo, letto in qualche libro scientifico, del come si deve assistere una partoriente.

Proto guardava attentamente: le poche robe di Ornella, le sue camicie, le sue ciabatte, le sue calze, sparse sulla tavola, gli destavano un senso quasi di pudore offeso, ma anche di angoscia, quasi fossero le vesti lasciate in riva al mare da uno che s’è voluto annegare.

— Eppure bisogna aiutarla, poveraccia, disse, — bisognerebbe darle da bere qualcosa. —

Ecco il rimedio pronto, — esclamò il maestro, burlandosi della semplicità del contadino.

D’un tratto fu bussato alla porta: si slanciarono tutti e due ad aprire, sperando fosse la levatrice, e tutti e due sorrisero nel vedere il viso smarrito di Gesuino. Egli s’era rimesso il gabbano e il berretto, e vinto da una insopportabile ma anche dolorosa curiosità, veniva a vedere. Nel breve tratto dalla loro alla dimora del maestro s’era tutto bagnato di pioggia, e adesso tremava per il freddo, come un cane assiderato.

— Che vuoi? — domandò aspro il fratello, tentando di non farlo entrare. — Va a casa.

Ma il maestro pensò di mettere a prova anche la buona volontà di Gesuino, e porgendogli l’ombrello di famiglia disse:

— Proto è andato a chiamare quella cialtrona della levatrice, che rifiuta di venire subito: le