Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/223


— 217 —

bestie selvatiche, sotto terra, fra le pietre e i cespugli, e mi sono nutrito di erbe e di frutta. Non conosco più il sapore del pane, e il vino che questa donna mi ha dato ha acceso la mia testa, e sento che ho chiacchierato abbastanza: giuro che non berrò più una goccia di vino.

Poi guardò l’orologio a sveglia che in cima al cassettone, bianco e impassibile come la luna, continuava a girare le sue lancette. Nel silenzio il maestro riaprì gli occhi e vide che Ornella si era di nuovo affacciata al dappiede del lettuccio ma con la testa bassa mortificata.

— Ancora cinque minuti, — riprese il giovine, sempre guardando l’orologio. — A dire la verità ero venuto qui con cattive intenzioni. Sapevo che il custode della casa era un uomo debole, disarmato; che non c’è neppure il cane. Ero venuto qui con l’idea di penetrare nella casa a tutti i costi. A tutti i costi, intende? Volevo rivedere la nostra dimora, e prenderci qualche cosa, almeno l’ocarina e l’anello di sposa di mia madre. Dicono che l’anello di sposa della mamma porta fortuna. Io volevo pigliarmelo, prima del fatto, ma guai a toccare nulla in casa: di qui nascevano le questioni terribili fra di noi. Vuol dire che ne farò a meno anche adesso: porterò via un po’ di terra sulla suola delle scarpe!

E finalmente sorrise: un sorriso che gli scavò