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Al nome di Marga, Ornella piegò la testa, guardando bene la patata che aveva in mano: e sottovoce domandò:
— Ma i denari ricavati dalla vendita della casa, lei cosa ne ha fatto?
Egli non rispose: questo era un affare che col sogno non ci entrava. D’altronde in quel momento il fragore del vento e della pioggia risonava così forte ch’egli poteva non aver sentito le parole di lei.
— Marga potrà aiutarmi, — riprese, rivolgendosi verso il camino. — E allora le cose si mettono bene: ricompro la casa e ritorno laggiù. Laggiù posso ricominciare a guadagnare: posso dare lezioni e aprire una scuola privata: tutti hanno stima di me, laggiù, e forse ho fatto male ad andarmene. La casa è bellina, al sole: non ha orto nè giardino ma è un po’ fuori e guarda sulla strada provinciale, sopra una china verde con grandi olivi che va a perdersi nella vallata. E sopra la casa e il paese c’è la montagna, coi boschi di cerri e la foresta dove solo i cacciatori possono avventurarsi.
Ornella adesso aveva sollevato la testa: nella stanza grigia tremolava come nei crepuscoli d’inverno il velo rosso del chiarore del fuoco: di fuori la musica disperata della bufera accompagnava il racconto nostalgico del maestro: e a lei pareva di sentire una fiaba.