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dino nudo e glielo premeva sul ventre; eppure non si facevano male, tutti e due impassibili nel gusto del giuoco in apparenza crudele.
Una farfalla rossa svolazzava intorno a loro; a volte si avvicinava al piede e al gattino come presa dal desiderio di mischiarsi alla loro lotta, ma subito volava via lontana pentita. E le foglie mormoravano, in un ondeggiamento armonioso che pareva prodotto dal loro stesso mormorìo.
Il maestro si avanzava lieve per non distruggere la scena; ma appena la sua ombra fu sul limite del pergolato il gatto fuggì e Ola rimase a guardarsi il piede, anzi lo sollevò, lo appoggiò al ginocchio e lo rivolse in su con la mano esaminandolo bene.
— Ti ha graffiato? — disse il nonno: — ben ti sta. Non sono giuochi da farsi, questi.
Ola sollevò gli occhi di tra i capelli selvaggi, ed egli li vide, come due lumi che si accendono la notte nel bosco, farsi rossi e luccicare: poi ella si rivolse verso il muro e cominciò a piangere disperata e spaurita. Egli la prese, la rivolse a sè, la consolò, pentito e addolorato più di lei: e quando la bufera di singhiozzi e di lagrime cominciò a placarsi le domandò anche scusa.
— Non l’ho fatto per male a sgridarti.
— Non è per questo, — dice lei rasserenata; — è perchè credevo mi avesse graffiato davvero.