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dare avanti, tra le due valigie, spingendola un po’ brutalmente.

Questo non piacque al maestro; nè questo nè la penombra della saletta da pranzo, che attraversarono per arrivare ad un’altra stanza, anch’essa piccola, triste e quasi tutta occupata da un grande letto di legno la cui coperta verde accresceva il pallore della donna che vi giaceva. Ella sollevò la testa, fra un’onda di capelli neri crespi, e fissò con occhi lucidi spaventati l’uomo che si piegava per salutarla: pareva non ricordasse ch’egli doveva arrivare, o che fosse lei ad arrivare di lontano presso gente che non conosceva.

La bambina, il cui viso s’era affilato e fatto serio, gridò buttandosi sull’altra sponda del letto:

— Mamma, è il nonno. È il nonno che è arrivato.

— Ma sì, lo so, — disse la donna infastidita; e chiuse e riaprì gli occhi quasi per raccogliere quel suo sguardo stordito e sostituirlo con uno più cosciente: ma era come chi ha un gran sonno e non riesce a restare sveglio.

Chiuse di nuovo gli occhi e tirò fuori dalle lenzuola le braccia nude, bianche, senza vene, tendendo le mani al maestro.

Egli prese quelle mani, stranamente grandi e scure in cima alle braccia esili, e le sentì palpitare forte: ma una era chiusa, con qualche