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stuccato e le colonne rivestite di rose rampicanti, circondava il portoncino d’ingresso: tutto era grazioso e pulito, e il maestro provava un senso misto di soddisfazione e di soggezione pensando che quel dominio signorile apparteneva alla nuora, e quindi anche al figlio: osservava però le finestre tutte chiuse in faccia allo splendore del mare, con l’impressione che l’interno della villa fosse oscuro e disabitato.

Infatti Ornella non si diresse al portico, ma svoltò lungo la facciata laterale, e quando fu dietro la villa spinse una piccola porta nel cui vano apparve lo sfondo di una cucina. Un fitto pergolato di fichi e viti che si appoggiava ai muri della casa ne oscurava tutto il piano terreno: ombra nella cucina dove la serva senza tante scuse introdusse l’ospite; ombra nella stanza che vi si vedeva attigua: onde egli provò una nuova delusione per questa accoglienza umile e fredda della villa appariscente solo di fuori come una bella donna ritinta e sorridente ma senza cuore.

La bambina però lo confortò subito, toccando e battendo con l’unghia la pentola turchina che bolliva e odorava di buono sui fornelli umidi di vapore.

— Qui c’è un pollo. Vuoi guardare?

— Finiscila con le sciocchezze, — disse la donna urtandola col ginocchio; e la fece an-