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nacci, le scarpe sotto la tavola. Il gatto riconobbe il maestro e gli si strofinò alle gambe; anche il cane accorse di lontano, gli si piantò davanti fissandolo negli occhi, con le orecchie tese ad ascoltare; e ogni volta che si pronunziava il nome di Ola quelle orecchie, molli come di pasta, si abbandonavano un po’ giù per subito risollevarsi. E tanto l’una come l’altra, le due bestie erano dimagrite, o per lo meno affamate.

In mezzo a quei segni di disordine chi non sembrava cambiato, dopo il primo momento di sorpresa, era Antonio; vestiva con accuratezza, con la camicia pulita e la cravatta di seta arancione bene annodata: non solo, ma aveva le scarpe nuove fiammanti, dello stesso colore della cravatta, e spiegò che la sua assenza del mattino derivava da quelle scarpe, poichè per trovarle di suo gusto era andato a comprarle nella città vicina.

I suoi dolci occhi limpidi, che le lunghe ciglia pudicamente velavano, erano i più innocenti di tutti quelli intorno: tanto che il maestro ancora una volta se ne sentiva intenerito, pure irritandosi della sua bontà,

Nonostante questa reazione domandò, anche lui involontariamente ingenuo:

— Tu sei solo, qui?

— Sì, solo. Ho cacciato via a calci quella sgualdrina.

Deledda. La fuga in Egitto. 12