Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/142


— 136 —


mento, e tornava alla fatica come un galeotto che per un momento s’è affacciato alla soglia del suo carcere e vede il cielo lontano. Quando ebbe finito di ripulire il pavimento e le pareti, dalle quali le ragnatele piovevano ancora piene di mosche morte fin dagli anni passati, pensò di mangiare qualche cosa. Andò a vedere nella gabbia a metà piena di paglia dove le galline, secondo la vecchia, facevano quattro uova al giorno; ma di uova non ne trovò che due, uno tutto picchiettato di nero, che era l’uovo di richiamo, l’altro bianco e caldo come già cotto.

Si contentò di questo, e vi inzuppò dentro il pane, come Ola inzuppava i biscotti nella crema, con gioia voluttuosa.

Poi riprese la sua faccenda: e quando i mobili furono lavati e rimessi a posto, e il lettuccio rifatto, gli parve di essere approdato, dopo una faticosa traversata, a un nuovo porto: e come tutti quelli che arrivano, riaprì la sua valigia.

La prima cosa che ne trasse fu l’orologio a sveglia, che lo aveva seguito fin dal paesetto natìo: camminava ancora, indifferente a tutto quello che non fosse il suo dovere, di battere il tempo, e messo in mezzo alla tavola ancora umida continuò imperterrito, padrone subito del luogo e dello spazio intorno.

Il maestro si sentì rianimato: come avesse ritrovato un compagno nella sua solitudine. Ma