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Anche lui, del resto, era quasi contento. Aveva risolto il suo problema interno, e superstiziosamente credeva che sulla bilancia della vita il dolore si sarebbe equilibrato col bene che poteva derivarne.

Tornò a casa e rimase tre giorni solo con Ornella, senza mai rivolgerle una sola parola di quanto li riguardava tutti. Aveva una paura misteriosa di lei, come di un essere ambiguo che al minimo urto poteva trasformarsi in un mostro: la notte si chiudeva a chiave nella sua cameretta, e di giorno andava a mangiar fuori per il timore che lei lo avvelenasse.

La sera del terzo giorno preparò la sua valigia, e pochi minuti prima che Antonio tornasse, gli lasciò scritto un biglietto dove diceva d’essere costretto a partire. Salutò i giocattoli di Ola, salutò il cane, che gli si aggirava intorno inquieto, forse indovinando i propositi di lui: infine cercò il gatto; lo trovò finalmente che dormiva arrotolato nell’angolo del sofà in camera di Marga, e si fermò a contemplarlo.

Delle zampe si vedeva solo quella che avvolgeva la parte inferiore della faccia, e dalla quale spuntavano i fili d’argento del baffo destro: l’orechio roseo, rovesciato, pareva una conchiglia piena di alghe bionde; e la coda ad anelli bruni e giallognoli, ben disposta intorno sul davanti del corpo tutto raccolto in sè ne comple-