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— Antonio, dov’è Ornella? La domanda, sebbene fatta sottovoce e con prudenza, allarmò subito Antonio che si volse tutto d’un pezzo: l’aspetto dell’altro era però così stanco e disfatto, che egli rassicurato rispose con premura:

— Ha bisogno di qualche cosa?

— Ho bisogno di parlarti. Vieni di là, nella mia camera.

Là si poteva parlare con calma. Le cose intorno nella penombra verdastra pareva fingessero di dormire, per non turbare il colloquio, e del resto adesso al maestro tutto appariva semplice, chiaro; ed egli non intendeva perdersi in parole inutili.

— Siedi, — disse scostando la sedia davanti alla tavola sulla quale fra le sue carte serpeggiava un filo di perline lasciato da Ola. E mentre Antonio scostava ancora più in là la sedia, e obbediva come un ragazzo, egli nascose sotto una carta le perline, non per paura di soffrire, ma perchè d’un tratto sentiva che non il solo desiderio di salvare dal marcio intorno la bambina, ma un istinto universale di bene lo guidava.

— Ascolta, — disse, ascoltando anche lui le sue parole, e con l’accento umile di chi non vuole offendere ma difendersi, — contro la mia volontà ho sorpreso oggi il tuo colloquio con Ornella.