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tratto si fermò, con un senso di sollievo, quasi fosse giunto a casa sua.
Dietro il velo della rete di un cancello una casa infatti sorgeva davanti a lui, grigia di vecchiaia e di abbandono.
Era la villa degli Ontani, la casa maledetta.
Del resto non era la prima volta che egli si fermava a guardarla; e il pensiero che tutte quelle stanze rimanevano da anni vuote, mentre lui era costretto ad abitare in una cameretta buia e umida come una cantina, lo legava alla rete del cancello con l’incanto che piega i bambini sulla bocca dei pozzi ove appare un cielo sotterraneo mille volte più attraente del cielo vero.
Una piccola vecchia vestita di nero, curva in avanti come a cercare qualche cosa per terra, apparve in fondo allo spiazzo e si avanzò verso il cancello: egli riconobbe la vecchietta «che ruba i bambini» ed ebbe l’impressione che anche lei lo avesse veduto e venisse giù a domandargli qualche cosa: tuttavia si staccò dalla rete e tornò indiero.
Il vento adesso gli batteva alle spalle; egli se lo sentiva scorrere entro tutte le aperture della giacchetta, e sebbene vedesse gli alberi gonfi di verde e le viti azzurre di solfato di rame gli pareva fosse d’inverno.
Tanto, tanto tempo era trascorso dopo la sua uscita dalla villa di Ola! Stanco si abbandonò