Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/101


— 95 —

lanconica nel fasto dell’ora e della stagione, l’uomo si sentiva come un monaco nella sua cella; arriva un momento in cui pure il monaco, dopo i digiuni, i sacrifizi, le astinenze e le estasi, sente la sua carne ridestarsi e ribellarsi, e lo spirito sprofondarsi nella grande disperazione del nulla, quella che vuol dimostrare l’inutilità anche del dolore.

— Maestro Giuseppe, andiamo fuori, andiamo a sperderci anche noi fra i granellini di sabbia sollevati dal vento.

Così pensò, e gli parve di prendere la sua anima per mano, come un bambino che piange senza ragione, e di condurla fuori.

Uscì silenzioso; la cucina era tutta ancora in disordine, poichè Ornella, profittando del riposo degli altri, forse chiacchierava coi contadini. Questa assenza di lei lo urtò, e maggiormente s’indispettì quando vide, nel piccolo portico dell’ingresso, la porta socchiusa. Ed egli era certo di averla chiusa a chiave, dopo essere ridisceso con Ola e Antonio dal piano di sopra. Un istinto che non era nè curiosità nè diffidenza, ma piuttosto paura, lo spinse a entrare e salire cauto le scale: e ricordava con angoscia il giorno dell’escursione con Ola, il modo di lei di sfiorare le pareti, il mistero che li conduceva come esplorassero un tempio sconosciuto.

— Questa casa sarà tua, Ola; tutta la luce del