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ma ci pensavo sempre e di notte la sognavo. E mi pare un sogno, un fatto avvenuto dieci anni or sono: ne avevo già quasi quattordici, ma ne dimostravo di più, e già qualcuno per la strada mi diceva parole d’amore. Tutto un fermento di primavera mi agitava; e un giorno che la zia era andata giù dagli inquilini del villino, io penetro nella sua camera, frugo, trovo in un posto molto prosaico, sotto il materasso, un astuccio di pelle; e mi è facile aprirlo, e dentro c’è la collana: me la metto, e per la gioia, o anche immaginandomi di essere in una grande festa, tento qualche passo di danza; ella mi sorprese, e mi bastonò ferocemente: per questo anche le serbo rancore. Dopo, credo che abbia depositato la collana nella cassetta di sicurezza di una banca. Ebbene, questa collana mi unisce a lei non tanto per l’avidità che io ho di averla, quanto per il problema se ella, a suo tempo, vorrà o no consegnarmela. Io non ho nessun documento che possa provarne la proprietà: tutto sta nella volontà della zia, nell’onestà della razza. Lei, la zia, sente