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è la sua, non la mia vita: la colpevole maggiore sono io.

Straniero.

Ragione di più, allora, per aver pietà di quest’uomo fallito. La solitudine e il male gli creano una vita interiore che è certamente immaginaria e morbosa, ma è ancora vita. Come nei sogni. Egli tenta, nel lento inesorabile scivolare verso la morte, di aggrapparsi a qualche cosa, di riallacciarsi, se non altro, al passato, di tornare, in qualche modo, al punto di partenza di quello che è stato certo il più grande sogno della sua vita. La morte gli appare come quel suo viaggio verso i paesi freddi e neri dove il carbone poteva mutarsi in oro ma solo a patto che la vita vi soffiasse il suo alito vero: ed egli vuol tentare il gran viaggio come allora, portando con sè questo alito d’amore. E chi è l’uomo che non fa altrettanto? Se si crede di ritrovare Dio, di là dalla vita, e in molti a questa speranza la morte stessa diventa gioia, non è perchè Dio è la vita eterna? E se il mio amico si forma rimorsi vani, e finge a sè stesso di aver fatto a lei un male oramai inesistente, è per tentare di attirarla meglio: è anche