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S’interruppe, corrugando le fini sopracciglia che divennero irte. La preoccupazione le induriva il viso, come per lo sforzo fisico di respingere qualcuno che volesse farle male.
— Però?... — interrogò l’altra, piegandosi e sporgendosi con un istinto di umanità più forte del suo duro volere.
— Non mi dispiace di avere quell’altra casa, che infine è la nostra vera casa. È triste, sai, ma bella. E laggiù spero di andare a partorire. Ci verrai?
— No, non ci verrai, lo so già, — disse senza aspettare la risposta. — Eppure sarà il momento di dimenticare tutto.
— Io ho paura di morire, — riprese ancora, rassegnata e quasi contenta di parlare lei sola, come uno strumento che suona una musica senza accompagnamento, e tutto esaurisce, domanda e risposta. — Dicono che questa paura l’hanno tutte le donne alla loro prima gravidanza; ma credo che nelle altre sia solo una paura fisica, mentre io la sento nel profondo dell’anima. E se io morrò e la creatura resterà viva sarà