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di un’ombra azzurra, con le narici un po’ livide e dilatate come quelle dei moribondi.

Riprese a pettinarsi: aveva cominciato a farlo con una certa cura, spazzolandosi dapprima i capelli e pensando al modo di nascondere i bianchi sotto quelli neri; adesso tornava ad acconciarli come sempre, mandandoli in su e indietro con indifferenza e stanchezza; e ricordava una cosa lontana, un giorno che un turbine l’aveva investita, in mezzo alle sue pecore sul piccolo altipiano del paese. Le pecore le si erano strette intorno, a lei pareva non per cercare protezione, ma per proteggerla. Il vento le colmava le vesti, le passava sul collo come un coltello, e, penetrandole da un orecchio all’altro le riempiva la testa col suo fragore, portandone via i pensieri. E in lontananza il lago lottava col vento, e si accendeva e spegneva al passare delle nuvole come un cielo notturno solcato dai fulmini.

Quando ebbe attortigliato e fermato bene i capelli, abbandonò le braccia e stette immobile come quella volta, aspettando che il turbine cessasse e i pensieri tornassero.