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fede non cieca né fanatica, ma tranquilla e luminosa, le galleggiava sempre, come la ninfea su un’acqua trasparente, il fiore della speranza. Anche il suo male, forse, era un dono misterioso, che l’avrebbe preservata dal peccato e da altri dolori. Sia fatta la volontà di Dio.

Eppure Aroldo le tornava davanti, coi suoi occhi che parevano anch’essi due fiori di luce: e pensava che quel giorno egli non sarebbe forse potuto tornare al lavoro, passando così una ben triste giornata.

Per liberarsi dai suoi pensieri si alzò, sebbene sentisse molto freddo, e disse alla madre, che almeno, bisognava preparare un buon pranzo all’ospite. Impastò un po’ di farina, con uova e strutto, e ne fece tante treccioline che, dopo fritte, spalmò di miele: sì, davvero, le pareva di essere tornata bambina. Anche la madre si dava da fare: odori buoni si sparsero nella casetta: odori di ospitalità, e quindi quasi di festa. Anche il cavallo non fu trascurato: Giustina lo abbeverò, mescolò un po’ di paglia all’orzo del sacchetto, gli batté la mano sulla testa: era una bestia buona e paziente; pareva di legno nero verniciato: tanto che il gallo prepotente, tutto giallo e rosso come una fiamma, gli beccava le zampe quasi per assicurarsi se erano vere o finte.