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casetta è disabitata perché si dice che dentro ci siano fantasmi. Eppure si attarda a guardarla, attirata da un fascino pauroso; finché le sembra che un’ombra passi dietro i vetri; allora riprende la sua corsa, sboccando nella strada che conduce a casa sua. Altri alberi sorgono lungo il ciglione sopra la valle, e la luna va di ramo in ramo, come un uccello d’argento, ma più in là corre anch’essa sul cielo latteo, precedendo e facendo luce a Concezione, finché si fermano tutte e due, come a guardarsi e dirsi qualche cosa. E d’un tratto la fuggiasca si accorge che ha perduto per strada la coperta; ma non ha freddo, sebbene vestita di un leggero abito di stoffa nera, lo stesso che indossava da ragazzina, quando andava alla scuola del paese, con la borsa dei libri fatta della stessa stoffa del vestito, il tutto confezionato dalla madre. Una fettuccia chiude la borsa, che ella dondola come faceva il chierico con l’incensiere, nella chiesetta paterna; ed ecco, d’improvviso, questo ragazzo nero di bronzo, con gli occhi tanto grandi che pareva non potesse aprirli del tutto, le salta dietro e le ferma la borsa. Spavento e gioia, anzi allegria, la fanno tremare e ridere.

— Ma io non rido — dice il ragazzo, — non rido, no, hai capito?