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no pulito le spalle. Una suora notturna, vestita di nero e viola, col viso lunare, coi piedi agili e silenziosi come quelli dei felini, le sfiorava la fronte con la mano tiepida. Era un contatto piacevole, che a Concezione ricordò quello della mano di Aroldo: ma subito ella scosse la testa sul guanciale, per liberarsi dal ricordo. E Aroldo sparisce: rimane la suora, nera e viola e bianca come la notte; Concezione finge di dormire, e aspetta con pazienza di essere lasciata sola. E quando è sola, nella sua cella a pagamento, che è al pian terreno dell’ospedale, scivola dal letto, si avvolge nella coperta e fugge. Perché faccia questo non lo sa neppure lei: si sa nulla di preciso nei sogni? Dapprima tutto le riesce facile, rapido: tutto è liscio e lucido. La strada davanti all’ospedale è selciata di lastre di granito, e una fila d’alberi giovani la ombreggia. Altri alberi, vecchi, neri, si sporgono dal muro dell’orto attiguo al giardinetto dell’ospedale e questo muro, verdiccio di musco, non è tanto alto che Concezione non possa vederci sopra: e vede, infatti, la distesa dei cavoli coi loro bocci chiari, e, in fondo, una casa a un piano, con una piccola loggia di ferro arrugginito.
Sui vetri della finestra batte la luna, e Concezione rabbrividisce, come se quel chiarore fosse un fuoco fatuo: infatti ella sa che la