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era leggera come una bambola. Poi sedette accanto al fuoco, tentando di calmare la curiosità di Giustina raccontandole solo una parte dell’avventura di Aroldo.
— Quella notte, col dormire all’aperto, col caldo della sbornia che ci aveva addosso, s’è buscato una pleurite ostinata e lunga: s’è rifugiato, ancora brillo, da Maria Pasqua, e a lei non è parso vero di sequestrarlo e tenerlo prigioniero, con la speranza di far poi di lui quello che le piaceva. Bisogna compatirla: è anche lei una creatura infelice e squilibrata: sola, in questo schifoso mondaccio, perseguitata nella sua tana come una volpe immonda. E non dico che della volpe non abbia gli istinti: ma anche lei discende da certa gente; con la differenza che non è stata proprio colpa sua ad esserlo.
Questa volta, perché la madre non venisse oltre mortificata, Concezione credette bene d’intervenire.
— Lasciamola stare: adesso tutto è finito.
Intanto apparecchiava la tavola: poi portò la statuetta in chiesa. Solo il chiarore della lampadina illuminava il luogo triste e freddo; ma Concezione, inginocchiata sul nudo pavimento, ricordava le parole di Aroldo: «i tuoi occhi, nel buio, erano lumi-