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per Giustina erano più importanti di quelle delle prime pagine dei giornali. E quando Concezione gli consegnò la torta per portarla a Serafino, egli non esitò a leccarla tutta intorno, sebbene qualche vespa vi fosse rimasta appiccicata come ad una carta insetticida.
Vennero, alla messa del giorno dopo, comare Maria Giuseppa, e il signorino Costante, tutto azzimato e, parve a Concezione, anche incipriato; — era stato quel burlone del barbiere a ridurlo così: — ma adesso c’era chi poteva proteggerla e difenderla; c’era Serafino, al quale ella, mentre gli serviva il caffè in sagrestia, si rivolse fervidamente.
— Quello scemo mi fa schifo e paura: e quella tarantola della zia lo stesso. Aiutami a liberarmi da loro, Serafino: tu solo puoi farlo; e lo farai.
Sotto la sua fragile corazza di angelo, il pretino chiudeva un’anima di guerriero: intese subito il terrore fisico e morale di Concezione e decise senz’altro di affrontare i nemici di lei. Finché si trattò di stare in buona compagnia, nella cucina delle donne, si mostrò gentile e umile, anzi quasi intimidito dalla gigantesca presenza del giovinotto, il quale, del resto, non faceva che esporre i denti bianchi minacciosi; ma quando se ne andò, e capì che anche gli altri due, non in-