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dopo a prendere un boccone con le donne. Giustina li accompagnò un tratto di strada, verso il paese, mentre Concezione s’era rimessa a sedere sulla panchina illuminata dalla luna.
C’era, sì, qualche zanzara, ma innocua; i grilli cantavano e il loro vibrante stridìo si fondeva col profumo del tasso e dell’oleandro e col chiarore della luna tremolante su ogni foglia. A Concezione doleva il cuore: non volle rientrare a cena, anzi rispose male agli inviti insistenti della madre; e questa la irritò maggiormente quando, dopo aver mangiato, uscì fuori di nuovo e cominciò a frugarsi i denti.
— Andiamo a letto, figlia, e chiudiamo bene la porta, — disse dopo un momento. — Chi sa se quel disgraziato è ancora là dietro, o si è svegliato e se ne è andato via.
— Speriamo sia crepato, lui con tutti i suoi pari.
— Speriamo di no, — insisté pacatamente la madre. — Ad ogni modo, Concezione, è meglio andare a letto e chiudere bene la porta.
— Ma neanche per sogno: non ho voglia di dormire; e non ho paura di nessuno, anche se venissero per ammazzarmi.
La madre si fece il segno della croce, ma