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cise di tenerlo d’occhio perché non lo derubassero davvero.

— Concezione, — disse sottovoce, tornando a casa, — c’è là dietro, quello sciagurato, ubbriaco morto, che non connette più. Che si deve fare?

Neppure lei lo sapeva. Aspettare che gli passasse la sbornia; aspettare che qualche ragazzo si avanzasse fino alla chiesetta e pregarlo di andare a chiamare il compagno di Aroldo perché sorvegliasse il disgraziato e lo riaccompagnasse a casa: non c’era altro da fare. Ma nessuno passava: tutti erano alla festa, attirati come le api dall’odore del vino e dei dolciumi: anche gli ospiti si facevano aspettare e il sole già si arrossava, spogliandosi dei suoi raggi incandescenti. Una pace quasi tetra cadeva col tramonto: le montagne calcaree si coloravano come illuminate da un incendio, mentre l’ombra calda dalla valle saliva di roccia in roccia, dalla parte dell’orto, e pareva volesse rifugiarsi nei boschi di querce per passarci la notte. Il profumo del tasso si mischiava a quello dell’oleandro, con una dolcezza di droga aromatica che dava alla testa; e davanti allo spiazzo inaffiato vaporava una improvvisa frescura che ricordava a Concezione i gelati dei venditori ambulanti. Col pensiero sempre rivolto