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era nascosta, e pensò di fingersi malata per sfuggire alla persecuzione: e malata davvero si sentiva, di caldo, di noia, di tristezza. Comare Maria Giuseppa aveva lasciato una scatola, con una torta di miele, ornata di fiori e uccellini di zucchero e di carta dorata; ed ella propose di mandarla a Serafino; ma intanto la mise dentro la cassa, sopra la famosa coperta che le dava una funebre melanconia ogni volta che ne sentiva l’odore della lana tinta con colori vegetali, e le ricordava il Santo Sepolcro. Poi si fece coraggio, dicendo a se stessa che bisognava pur essere gentile con quei due per riguardo alla madre, e per le antiche leggi dell’ospitalità; però, con la scusa che aveva mal di denti, si camuffò da vecchia, con un fazzoletto nero tirato sugli occhi e avvolto bene fin sulla bocca; si guardò nello specchio, e si sarebbe sentita soddisfatta della sua maschera, se gli occhi non fossero apparsi, in quella cornice monacale, più grandi, belli di tutto il mistero della sua anima triste e in esilio sulla terra. Abbassò le ciglia, e fece le prove per nascondersi meglio, per sfuggire all’agguato malefico; ma a misura che l’ora passava sentiva un’oppressione, un veleno di odio contro quella pazza di comare Maria Giuseppa e del suo degno nipote. Andò a cogliere, per