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sia così: è la natura. E se tu fai la schifiltosa, come il fico d’India che per esser goduto ha bisogno di essere scorticato col coltello dalla sua buccia spinosa, è giusto che il tuo giovinotto si volga da un’altra parte: specialmente se è forestiero. Una volta ho conosciuto un fantaccino, un ragazzo del settentrione, che volle mangiare un fico d’India, e non sapendo che si doveva sbucciare, lo morsicò con le spine e tutto. Venne da me con la bocca che gli bruciava come un forno acceso, e ne ebbe per un bel pezzo. Il tuo forestiero, dunque, va verso i pomi e altri bei frutti amabili. I forestieri, poi, sono famosi per tradire le donne; e qualche volta lo fanno anche innocentemente: ne amano due e tre alla volta, e non badano alla qualità; oh, per questo, anche i nostrani non guardano per il sottile, e spesso la donna più scadente, ma dotta nelle arti amorose, li accalappia come anche la volpe più astuta si lascia accalappiare dalla trappola nascosta.
— Non è il caso, non è il caso, — ella disse, già pensando che il vecchietto alludesse ad Aroldo. — Il mio caso è un altro. Si tratta che io non ho mai avuto fortuna, in amore. È il destino, la sorte, la mala sorte.
— Parole. La sorte ce la facciamo noi. E se io fossi stato più furbo, se io avessi tenuto