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gine torbida dell’altro; un senso mortale di angoscia la premeva, allora, come se il morto la innalzasse, dall’inferno, fatto anche lui essenza del demonio, del male, del dolore che non ha fine. Si svegliava tutta in sudore, e per calmarsi pensava, ripiegandosi di nuovo sulla realtà, che la sua era forse una pena di espiazione: Dio gliene avrebbe tenuto conto nel momento di fare il grande viaggio.

Un’altra figura quasi diabolica le sembrava quella del primario dell’ospedale, che personificava per lei il primo giudice che aveva pronunziato la sua condanna: qualche volta pensava di andare a farsi visitare da lui, come egli le aveva ordinato; ma ne aveva quasi terrore: temeva che egli le annunziasse una prossima ripresa del male, una morte lenta ma non remota. E lei voleva vivere: per sua madre, diceva, ma in realtà per il solo istinto di vivere. Che importa l’amore, la discendenza, il nutrimento superfluo che si domanda alla vita, quando il solo pane di essa basta per farci godere e comunicare con Dio? Concezione non aveva studiato, non leggeva che il suo libro da messa, ma era intelligente; e la solitudine e l’atavismo sviluppavano in lei, ogni giorno di più, come nei pastori sulla montagna, un primordiale ma sensato concetto filosofico e quasi stoico della vita. Ca-