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vera, intorno e dentro la casetta ospitale.

Arrivava d’improvviso, e non certo, quel giorno, per una vertenza giudiziaria, comare Maria Giuseppa; non più camuffata da uomo, ma sempre coperta di vesti pesanti, con una cuffia di seta nera e, sopra, un fazzoletto che pareva avesse strappato, per decorarsene, tutti i fiorellini e le frange verdi della strada campestre. Intorno alle possenti caviglie, sopra le alte scarpe ad elastico, aveva allacciati due grossi sproni lucenti. Dopo aver condotto il cavallo sotto la tettoia, facendo segni di saluto alle galline, tirò giù la bisaccia colma e la portò sulla panchina di pietra accanto alla porta. Aveva già veduto nella cucina i due giovanotti, e corrugò le sopracciglia che, in quanto a foltezza e ribellione, gareggiavano con quelle di Giordano; ma il suo cipiglio divenne addirittura guerresco, aggressivo, quando scoprì il vecchio che la fissava anche lui sorpreso, curioso, e infine allarmato.

Non si conoscevano personalmente: egli però sapeva bene chi era Maria Giuseppa Alivia; e della sua autentica ricchezza, della sua prepotenza e infine del nipote bastardo e scemo al quale ella destinava la sua roba. Lui, Felice Giordano, s’infischiava, per non dire la vera espressione pensata in quel momento da lui, di tutte quelle cose; tuttavia si