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i piselli si arrampicavano fin sulle piante, le violacciocche diventavano rosse come spruzzate di sangue. Concezione coglieva una margheritina bianca orlata di rosa, con l’occhio d’oro fra le ciglia dei petali e se la portava per compagna nella sua solitudine; ma il fiorellino si rattristava subito, si chiudeva, si addormentava: ed ella si pentiva di averlo stroncato inutilmente. Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?
E quei rimbombi delle mine che parevano correre e sperdersi tra gli anfratti del monte, e di là sbucare e salire violenti per i sentieri delle macchie, per arrivare fino a lei, torcendosi e infine placandosi ai suoi piedi, come messaggeri minacciosi e affannati? Ella aveva voglia di alzarsi, di salvarsi, come se davvero qualche cosa di vivo e di tangibile si rotolasse ai suoi piedi: e negli intervalli, dunque, era poi il grido del cuculo a finire di inquietarla: tutto le sembrava si rivolgesse a lei, per ricordarle che la sua vita non era giusta, che ella aveva sempre sbagliato strada e fatto del male: forse peggio dell’altra sorella fuori legge. E se il lamento del cuculo veniva da un mondo di là, il rombo delle mine le diceva anche di un passaggio sotterraneo che Aroldo si scavava da sé per arrivare di nuovo fino a lei, ma stroncato come la margheritina.