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stracci; s’inginocchiò davanti al Cristo, che riposava tra i fiori e il grano come un pastore addormentato, e pregò a lungo. Anche lei voleva serbare una certa compostezza, tanto che fu Giustina stessa che andò a chiamarla, pregandola di accettare una tazza di caffè.
La donna andò nella cucina, e sedette davanti al fuoco, come stanca di un faticoso viaggio: il viaggio della sua vita disastrosa: e non si fece pregare, ma neppure mostrò avidità, anzi togliendosi con lento gesto signorile, quella sua parvenza di guanti, prese la tazza di caffè e latte, i biscotti, l’involto che Concezione le porgeva. Ed era non senza interesse, che Concezione glieli porgeva, poiché la donna abitava una stanzetta terrena, un vero buco, in un cortile sul quale s’apriva la casa, pur essa terrena, dove Aroldo abitava anche lui, in una cameretta presa in affitto da una vecchia paesana. Fu di questa paesana che dapprima Concezione domandò notizie.
— È malata, — disse madama Peperona; — da due mesi ha una pleurite secca dalla quale non so se camperà. Ed è sola, e la poca assistenza che posso gliela do io.
— Ma che dice il dottore?
— Ma che dottore? Chi può pagarlo, in questi tempi? La disgraziata è più povera di me: vive, si può dire, di quello che le dà il