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E adesso chiacchiera con tutti: è diventato un altro; tutte le feste è all’osteria, e suona e canta e, purtroppo beve. Certo, sembra, come dice la gente superstiziosa, che gli abbiano fatto una stregoneria. E fama di queste cose ha appunto la sciagurata Pasqua; ma la vera malìa, certo, l’Aroldi l’ha avuta da te.

— Oh, Serafino, — disse allora Concezione, con rimprovero amaro; — tu non devi parlare così. E, del resto, che cosa posso farci io? Mi dispiace che egli vada da quella donna; ma, credi pure, non sono gelosa; e non ne ho io la colpa. Tutti gli uomini fanno la stessa cosa: un giorno, poi, egli se ne dovrà pure andare, e tutto sarà finito.

— Non so; credo che tutto non sarà finito così presto. Pasqua lo rovinerà; forse riuscirà a farsi sposare.

— E lascia che si sposino. Non sarà un modo, per l’infelice, di redimersi?

— Tu non mi intendi, sorella mia: non mi vuoi intendere. L’uomo è disperato; è traviato: nulla di buono, qualunque ne sia la conclusione, può nascere da questa avventura. Tu sola puoi e devi salvarlo.

— Poco fa tu mi chiedevi di aiutare Pasqua; non sarebbe il modo, di lasciare invece che la sorte di lei e quella di Aroldo si uniscano?