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rendeva più utile alla famiglia; poichè non tornava una volta a casa senza il grembiale colmo di roba. Non che domandasse l’elemosina, che anzi non guardava in faccia nessuno, e neppure rispondeva se un viandante le chiedeva il nome di una strada, ma cercava, e cercando si trova sempre qualche cosa: fascinotti di legna nella pineta, fuscelli lungo la spiaggia, more e pigne, oggetti anche di valore abbandonati dai bagnanti e sepolti dalla rena, pesci buttati dai pescatori della sciabica, funghi ed erbe, qualche zucca, o grappoli d’uva sporgenti dai campi dei contadini; infine radici buone anche per i continui disturbi dei bambini.
I bambini non l’amavano, forse perchè li costringeva a trangugiare questi amari intrugli: e neppure i grandi la vedevano di buon occhio.
C’era qualche cosa di strano, quasi di inumano, in lei, nei suoi occhi rotondi e fissi, come quelli delle vipere, nei suoi larghi piedi di palmipede, nell’andatura veloce e silenziosa: quando lei non era in casa si respirava meglio, mentre il suo riapparire, alla sera, sulla porta grigia e ventosa della catapecchia, dava un senso di fantastico, come s’ella fosse stata a commettere del male, ma in un mondo di spiriti, e cacciata via da questi ritornasse sulla terra con le ombre della notte.
L’aprirsi ed il vuotarsi del suo grembiale riconciliava un po’ tutti, con lei e con la realtà.