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la finestra aperta su una specie di parco del quale non s’indovinava il limite.

L’uomo s’era tolto gli occhiali e fissava quello sfondo con gli occhi grigi incantati.

Forse era breve, il giardino della casa del poeta, ma sembrava appunto senza confini, come egli lo aveva cantato, coi suoi alberi antichi, i cui tronchi mille e più mila cuori di edera lucente rivestivano; e fra un tronco e l’altro festoni di rampicanti, gelsomini e passiflore. Solo le macchie rosse delle rose porporine spandevano chiazze di colore sul verde ombroso e quasi boschivo del luogo: bastava però quel chiarore di fiamma sanguigna per dare una luce calda al giardino e allo stesso salotto. Con voce velata, il visitatore domanda:

— Il giardino appartiene alla casa? Il poeta ha piantato almeno uno di questi alberi?

Il proprietario non lo sa; ma per non fare cattiva figura risponde:

— Credo, sì, che alcuni siano stati piantati da lui.

— Sì, quella paulonia, al centro, è stata piantata da lui.

Il visitatore parla come fra di sè, rispondendo alla sua domanda: e il proprietario lo guarda con lieve stupore, volgendosi poi a fissare la pianta della quale ancora non sapeva il nome.