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moglie preparava la zuppa di fagioli, si aggirava intorno al letto dove il bambino malato apriva e chiudeva ogni tanto gli occhi di sorcio, e pensava che avrebbe dato volentieri metà del suo sangue per far guarire subito il suo piccolo Lello.
Ma Lello forse non era tanto malato come i genitori credevano, perchè tendeva le orecchie al chiacchierìo dei fratelli raccolti intorno al fornello a carbone sul quale bolliva la pentola dei fagioli.
Si parlava dell’uccello. Di che si doveva parlare, al mondo, se non dell’uccello celeste? Anche la madre, sebbene preoccupata per il bambino, prendeva parte alla conversazione: e Pippo, invece di fare il compito di scuola, raccontava per la centesima volta la sua avventura.
— Mi ha detto: buon giorno: poi ha detto: Lino, somaro; poi ha detto...
— Ma se io, tante volte che sono andata dalla signora Carlotta, non l’ho mai veduto? — insiste la madre, anche per mettere in calma i bambini.
— Eh, si vede che lo ha da pochi giorni.
— L’uccello...
È il piccolo malato che interviene. Nel sentirne la voce appannata, la madre trasalisce come se invece del figlio fosse davvero un uccellino a parlare.
— Lello, tesoro, amore.
È sopra il bambino, ne respira il fiato ardente, ne beve le parole.